Parole in gioco

agosto 31, 2010

La filastrocca

Filed under: Filastrocca,Tradizione popolare — paroleingioco @ 8:54 PM

Fonte: http://annaritaverzola.splinder.com/post/11072513#comment

Filastrocca deriva dal termine popolare toscano filastroccola, ma l’etimologia ci dice che deriva da filatessa, termine a sua volta originato dal verbo filare, e sta a indicare secondo alcuni il procedimento linguistico circolare che spesso la caratterizza, secondo altri invece un particolare tipo di nenia che le filatrici intonavano per accompagnare il loro lavoro.

Con il termine filastrocca ci si riferisce ad una composizione cadenzata di vario argomento, a volte sotto forma di dialogo, generalmente composta di versi brevi e spesso in rima, o con parole che presentano assonanze o allitterazioni. Ha ritmo veloce  e suo carattere principale è appunto la ripetizione di parole o di suoni con intento comico o grottesco, giocato sul divertimento e sull’interesse che nasce nei bambini al ripetersi di parole buffe o senza senso.

C’era una volta un re
Seduto sul sofà
Che disse alla sua donzella
-Raccontami una storiella-
E la donzella incominciò…
“C’era una volta un re
Seduto su un sofà
Che disse alla sua donzella
-Raccontami una storiella-
E la donzella incominciò…
“C’era una volta un re…

In questo celebre esempio di filastrocca il divertimento nasce dalla  circolarità delle frasi, come un gioco di specchi che riproponga all’infinito la medesima immagine.
La filastrocca viene cantata o recitata spesso con movimenti che ne sottolineino le parole o il ritmo.
Mia nonna mi ha insegnato questa e garantisco le  reazione divertite di piccoli ai quali l’ho proposta…

Una ragazza
Su per la piazza
Andava alla scuola
Col canestrino
Con pane e cacino…
…micio, micio micino!

(A ogni verso si accarezza il palmo della mano del bambino, ma sul verso finale gli si fa il solletico con le punte delle dita  e ciò provoca  matte risate nel piccolino di turno.)

Se sono i bambini stessi a eseguirla, spesso è una “conta”, fatta toccando a uno a uno i partecipanti del gioco, con lo scopo di scegliere chi dovrà fare qualcosa o subire una penitenza…

Ambarabà ciccì coccò
Tre civette sul comò
Che facevano l’amore
Con la figlia del dottore
Il dottore si ammalò
Ambarabà ciccì coccò

Oppure accompagna un indiavolato girotondo…

O quante belle figlie, Madama Doré,
o quante belle figlie.
Son belle e me le tengo, Madama Doré,
son belle e me le tengo.
Me ne dareste una, Madama Doré,
me ne dareste una?
Che cosa ne vuoi fare, Madama Doré,
che cosa ne vuoi fare?
La voglio maritare, Madama Doré,
la voglio maritare.

Gli adulti  propongono la filastrocca ai più piccini con l’intento di cullarli,  calmarli, divertirli o addormentarli.

La filastrocca può essere lunga o breve, a volte ha  un movimento lento e un po’ sognante, che ne fa una ninna nanna…

Fate la nanna, coscine di pollo,
la vostra mamma vi ha fatto il gonnello,

e ve l’ha fatto con lo smerlo intorno,
fate la nanna, coscine di pollo.
Fate la nanna  e possiate dormire,
il letto è fatto di rose e di viole,
e le coperte di panno sottile,
fate la nanna, begli occhi di sole.
Ninna nanna, nanna ninna,
il bambino è della mamma,
della mamma e di Gesù.
(nome del bambino) non piange più

… altre  ha il ritmo vivace e cadenzato di  una marcia…

Trucci cavallo
Lorenzo Tittigallo
Con la cavalla zoppa.
Chi l’ha azzoppata?
La stanga della porta!
Dov’è la porta?

L’ha bruciata il fuoco!
Dov’è il fuoco?
L’ha spento l’acqua!
Dov’è l’acqua?
L’ha bevuta la capra!
Dov’è la capra?
L’hanno scorticata!
Dov’è la pelle?
Hanno fatto i tamburelli per le figlie belle dell’amor!

(Cantando questa filastrocca si fa sedere il bambino sulle ginocchia e lo si tiene per le mani, facendolo saltellare piano piano su una gamba e sull’altra, simulando il trotto del cavallo, via via più forte sul finale della filastrocca).

La filastrocca è parte integrante della cultura popolare per cui non è raro trovarne di regione in regione diverse varianti della medesima. O anche in una lingua diversa. È il caso di questa filastrocca popolare inglese, nota anche in Italia.

“Chi ha ucciso l’usignolo?”
“Io, disse il cacciatore,
io, con il mio fucile
ho spezzato il suo cuore”.
“Oh, povero usignolo!”

E tutti gli uccellini
della terra e del mare
vennero a lacrimare
sul povero usignolo.

“Chi tesserà il lenzuolo?”
“Io,disse il tessitore,
il tesserò il lenzuolo
per avvolgere il corpo
del povero usignolo”.

E tutti gli uccellini
della terra e del mare
vennero a lacrimare
sul povero usignolo.

“Chi piallerà la bara?”
“Io, disse il picchio rosso,
io piallerò la bara
in buon legno di bosso
al povero usignolo”.

E tutti gli uccellini
della terra e del mare
vennero a lacrimare
sul povero usignolo.

“Chi dirà le preghiere?”
“Io, disse l’assiolo,
con la mia triste voce
canterò il Miserere
al povero usignolo”.

E tutti gli uccellini
della terra e del mare
vennero a lacrimare
sul povero usignolo.

“Chi scaverà la fossa?”
“Noi tutti, gli uccellini,
con le nostre zampette:
noi saremo i becchini
del povero usignolo”.

E tutti gli uccellini
della terra e del mare
vennero a sotterrare
il povero usignolo.

A volte la filastrocca cela un significato politico o sociale, come questa dello scrittore, porta e drammaturgo triestino Francesco Dall’Ongaro (1808-73), autore del famoso dramma Il fornaretto di Venezia

C’era una volta un re e una regina,
che al sol vederli passava la fame.
Vivean a starne, vestivan di trina
per la felicità del lor reame,

quando la gente non avea farina,
lo re diceva mangiate pollame.
Lo re può fare e disfar ciò che vuole,
noi siam nati per far ombra al sole.
Lo re può fare e la pace e la guerra,
e noi siam nati per andar sottoterra…
Passa la notte e l’alba s’avvicina…
C’era una volta un re e una regina.

Questa nota e lunga filastrocca, nella quale ogni immagine richiama l’altra, è stata rielaborata da Fabrizio De André nella sua canzone Volta la carta.

La donnina che semina il grano
volta la carta e si vede il villano.
Il villano che zappa la terra
volta la carta e si vede la guerra.
La guerra con tanti soldati
volta la carta e si vede i malati.
I malati con tanto dolore
volta la carta e si vede il dottore.
Il dottore che fa la ricetta
volta la carta e si vede Concetta.
La Concetta che fa i brigidini

volta la carta e ci sono i bambini.
I bambini che van per i campi
volta la carta e si vedono i lampi.
I lampi che fanno spavento
volta la carta e si vede il convento.
Il convento coi frati in preghiera
volta la carta e si vede la fiera.
La fiera con burle e con lazzi
volta la carta e si vedono i pazzi.
I pazzi che cantano a letto
volta la carta e si vede lo spettro.
Lo spettro che appare e va via
volta la carta e si vede Lucia.
Lucia che fa un vestitino
volta la carta e si vede Arlecchino.
Arlecchino che fa gli sgambetti
volta la carta e ci sono i galletti.
I galletti che cantano forte
volta la carta e si vede la Morte.
La Morte che falcia la gente
volta la carta e non vedi più niente.

(il testo è tratto dal volume Staccia buratta, la micia e la gatta…di Francesca Lazzarato, illustrato da Nicoletta Costa, Mondadori Ragazzi, 1989)

Un piccolo cenno merita anche il  limerick inglese, un genere di nonsense costituito secondo regole ben precise. La sua origine è ignota, mentre è ritenuta certa l’elaborazione di nonsense nell’antichità e in Shakespeare.I più famosi sono quelli di Edward Lear e Gianni Rodari ne spiega così la costruzione:

c’era un vecchio di palude

di natura futile e rude

seduto su un rocchio

cantava stornelli a un ranocchio

quel didattico vecchio di palude

(trad. di Carlo Izzo)

(Edward Lear, Il libro del nonsense, Einaudi, 1970)

“Il primo verso contiene l’indicazione del protagonista (c’era un vecchio di palude)
Nel secondo verso è indicata la sua qualità (di natura futile e rude)

Nel terzo e quarto verso si assiste alla realizzazione del predicato

(seduto su un rocchio/cantava stornelli a un ranocchio)

Il quinto verso è riservato all’apparizione di un epiteto finale, opportunamente stravagante (quel didattico vecchio di palude).

Alcune varianti sono in realtà forme alternative della struttura. Per esempio, al secondo verso, la qualità del personaggio può essere indicata, anziché da un semplice attributo, da un oggetto che egli possiede, o da un’azione che compie. Il terzo e il quarto, anziché alla realizzazione del predicato, possono essere riservati alla reazione degli astanti. Nel quinto, il protagonista può subire rappresaglie più serie che un semplice epiteto.

Vediamo un altro esempio:

  1. il protagonista:

C’era un vecchio di Granieri

  1. il predicato:

che camminava in punta di piedi

  1. e   4.   la reazione degli astanti:

ma gli dissero:Bel divertimento
incontrarti in questo momento

5.   epiteto finale:

o rimbambito vecchio di Granieri

Gianni Rodari, Grammatica della fantasia (Einaudi Ragazzi, 1973)

Le filastrocche che ho riportato fanno parte dei miei ricordi infantili, chissà se appartengono anche a quelli di qualcun altro?

P.S.: aggiorno questo post inserendo le definizioni di “filastrocca” che MariaStrofa mi ha gentilmente suggerito, fermo restando che l’etimologia del nome non è mai stata del tutto chiarita. La voce potrebbe risultare da un “filo” associato a “strocco o strocca,” formazione, cioè, sulla linea di “filigrana”: lo strocco è un tipo di seta attestato in antichi documenti. Secondo una nuova interpretazione il sostantivo nasce dalla costruzione imperativale *fila* e (s)trocca ‘dà un colpo’ ‘disfa’ e anche ‘parla’.

agosto 29, 2010

SETA MONETA

Filed under: Canzoni,Tradizione popolare — paroleingioco @ 10:33 PM


canzone per bambini della tradizione orale italiana

Canto e voce Patrizia Ercole
Chitarra e canto Angela Zecca
1997

SETA MONETA

le donne di Gaeta
che filano la seta
la seta e la bambagia
bambini chi vi piace
ci piace Giovanni
che fa cantare i galli
la chioccia coi pulcini
i galli e le galline
che fanno coccodèè
canta gallina
fa l’ovo domattina
vicino al gallo rosso
vicino al gallo bianco
che fa chicchirichìi
Seta moneta
le donne di Gaeta
che filano la seta
la filan troppo forte
e fan tremar le porte
le porte son d’argento
e fanno cinquecento
centocinquanta
tutto il mondo canta
canta lo gallo
risponde la gallina
Madama Colombina
s’affaccia alla finestra
con tre colombe in testa
Passan tre fanti
su tre cavalli bianchi:
bianca la sella,
bianca la donzella,
bianco il parafieno
Seta moneta
le donne di Gaeta
che filano la seta
la seta e la bambagia

Le Sette Regole dell’Arte di Ascoltare

Filed under: Formazione,Libri — paroleingioco @ 10:27 PM

1. Non avere fretta di arrivare a delle conclusioni.
Le conclusioni sono la parte più effimera della ricerca.

2. Quel che vedi dipende dal tuo punto di vista.
Per riuscire a vedere il tuo punto di vista, devi cambiare punto di vista.

3. Se vuoi comprendere quel che un altro sta dicendo, devi assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti a vedere le cose e gli eventi dalla sua prospettiva.

4. Le emozioni sono degli strumenti conoscitivi fondamentali se sai comprendere il loro linguaggio.
Non ti informano su cosa vedi, ma su come guardi.
Il loro codice è relazionale e analogico.

5. Un buon ascoltatore è un esploratore di mondi possibili.
I segnali più importanti per lui sono quelli che si presentano alla coscienza come al tempo stesso trascurabili e fastidiosi, marginali e irritanti,perchè incongruenti con le proprie certezze.

6. Un buon ascoltatore accoglie volentieri i paradossi del pensiero e della comunicazione interpersonale. Affronta i dissensi come occasioni per esercitarsi in un campo che lo appassiona: la gestione creativa dei conflitti.

7. Per divenire esperto nell’arte di ascoltare devi adottare una metodologia umoristica.
Ma quando hai imparato ad ascoltare,l’umorismo viene da sè.

di Marianella Sclavi da Arte di ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte

Ascolto Attivo/Ascolto Passivo
Delle “Sette regole dell’arte di ascoltare” (Sclavi, 2000a), quella che più immediatamente rende l’idea di cosa si intende per Ascolto Attivo è la seguente:

“se vuoi comprendere quello che un altro sta dicendo,
devi assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti
a vedere le cose e gli eventi dalla sua prospettiva.”

L’Ascolto Attivo implica il passaggio da un atteggiamento del tipo “giusto-sbagliato”, “io ho ragione-tu hai torto”, “amico-nemico” ad un altro in cui si assume che l’interlocutore è intelligente e che dunque bisogna mettersi nelle condizioni di capire com’è che comportamenti e azioni che ci sembrano irragionevoli, per lui sono totalmente ragionevoli e razionali.
L’atteggiamento giusto da assumere quando si pratica l’Ascolto Attivo è diametralmente opposto a ciò che caratterizza quello che tradizionalmente viene considerato un buon osservatore: impassibile, “neutrale”, sicuro di sé, incurante delle proprie emozioni e teso a nascondere e ignorare le proprie reazioni a quanto ascolta. Al contrario, se vogliamo entrare nella giusta ottica, dobbiamo imparare qualcosa di nuovo e sorprendente, che ci “spiazza” dalle nostre certezze e dunque che ci consente di dialogare.
Questo significa che dobbiamo essere disponibili a sentirci “goffi”, a riconoscere che facciamo fatica a comprendere ciò che l’altro ci sta dicendo: in questo modo stabiliamo rapporti di riconoscimento, rispetto e apprendimento reciproco che sono la condizione per affrontare congiuntamente e creativamente il problema. È la rinuncia alla arroganza dell’uomo-che-sa e l’accettazione della vulnerabilità, ma anche l’allegria, della persona-che-impara, che cresce, che cambia con gli altri invece che contro gli altri.
IL GIUDICE SAGGIO
La dinamica complessiva di questo tipo di comunicazione è ben rappresentato dall’aneddoto del “giudice saggio”, che è il seguente.
Al giudice saggio furono portati i due litiganti. Egli ascoltò molto attentamente le ragioni del primo e commentò: “tu hai ragione”. Poi ascoltò il secondo e di nuovo commentò: “tu hai ragione.” A questo punto un osservatore esclamò: “eccellenza, non possono avere ragione entrambi!!”. Il giudice saggio ci pensò sopra un attimo e poi, serafico: “Hai ragione anche tu”.
Nella comunicazione interculturale molto spesso hanno ragione entrambi gli interlocutori, e al tempo stesso “non possono aver ragione entrambi” perché non si capiscono fra loro. Il riconoscerlo è un indice di saggezza.
Il dialogo fra culture diverse non riguarda in primo luogo i comportamenti, ma abitudini percettive-valutative profondamente interiorizzate e difficili da cambiare.
ABITUDINI DI PENSIERO
Quando ci muoviamo entro un “sistema semplice” (cornici condivise, stesse premesse date per scontate) l’abitudine di pensiero più adeguata è quella della logica classica, della razionalità analitica e lineare.
Ma quando il sistema di cui siamo parte è “complesso” (caratterizzato dalla comunicazione fra cornici diverse), bisogna passare ad un’altra abitudine di pensiero guidata dall’ascolto attivo, interessata alle cornici e premesse implicite, che considera l’osservatore parte integrante del fenomeno osservato, circolarmente e auto-riflessivamente.
Sempre più spesso con il diversificarsi della nostra società, l’ascolto attivo diventa una competenza di base, indispensabile anche nella vita quotidiana all’interno di una “stessa cultura”. Questa competenza oggi è spesso richiesta anche nei rapporti fra genitori e figli, fra marito e moglie, fra insegnanti e allievi, fra pubblici amministratori e cittadini, fra urbanisti e abitanti.
Potremmo anche aggiungere dal lato dell’ascolto passivo: “attenzione ai contenuti” e da quello dell’ascolto attivo: “attenzione alla forma”.
Qualsiasi comportamento, anche il semplice camminare per strada, può essere visto non solo come l’attuazione di un concetto astratto: “il camminare” (attenzione ai contenuti), ma anche come un susseguirsi di discontinuità, di microscopici incidenti e occasioni di imbarazzo che possono essere gestiti in modi e stili diversi (attenzione alla forma).
Questo vale non solo per le persone e interazioni osservate, ma anche per l’osservatore. In un certo senso si può dire che l’interesse principale di chi pratica l’ascolto attivo è osservare se, e come, lui stesso e gli altri praticano l’ascolto attivo. E’ una osservazione “ecologica” alla maniera di Gregory Bateson e “polifonica” alla maniera di Michail Bachtin.

STUDI SULLE DINAMICHE DELL’ASCOLTO ATTIVO
Nel mondo occidentale il riconoscimento dell’importanza dell’ascolto attivo in generale (e non solo in sede terapeutica) è una conquista molto recente.
Un grosso impulso agli studi sulle dinamiche dell’ascolto attivo è stato dato, agli inizi degli anni ’80, dagli studi sulle aziende post-industriali (Peters,1982; Kunda, 2000) e dagli studi sui rapporti fra professionisti e clienti (Wolvin e Coakly, 1988; Bert e Quadrino, 1999).
Le basi teoriche per questo approccio erano state elaborate in precedenza da studiosi che hanno sostenuto la priorità dell’ascolto in un paradigma dialogico (Martin Heidegger, Michail Bachtin, Martin Buber) e dai teorici dei sistemi complessi (Bateson, von Foerster, Emery e Trist, Ashby).
Il modello più efficace per comprendere la differenza fra Ascolto Passivo e Ascolto Attivo è offerto dalla buona comunicazione interculturale in situazioni concrete e contingenti (Sclavi, 2000a e 2000b) in quanto rende più facilmente evidenziabile che “uno stesso comportamento” può avere significati antitetici e al tempo stesso assolutamente legittimi.
Per esempio il “non guardare negli occhi una persona anziana e autorevole” in un contesto culturale può essere segno di rispetto, in un altro segno di mancanza di rispetto.
I malintesi, l’irritazione, l’imbarazzo, la diffidenza in questi casi non sono risolvibili in termini di comportamenti “giusti o sbagliati”, ma cercando di capire l’esperienza dell’altro, il che implica accogliere come importanti aspetti che siamo abituati a considerare trascurabili o addirittura che prima non abbiamo mai preso in considerazione.

agosto 28, 2010

Il palazzo di gelato

Filed under: Fiaba,Gianni Rodari — paroleingioco @ 8:39 PM

Una volta, a Bologna fecero un palazzo di gelato proprio in Piazza Maggiore, e i bambini venivano da lontano a dargli una leccatina.
Il tetto era di panna montata. Il fumo dei comignoli di zucchero filato, i comignoli di frutta candita. Tutto il resto era di gelato: le porte di gelato, i muri di gelato, i mobili di gelato. Un bambino piccolissimo si era attaccato ad un tavolo e gli leccò le zampe una per una, fin che il tavolo gli crollò addosso con tutti i piatti, e i piatti erano di gelato al cioccolato,il più buono.
Una guardia del Comune, ad un certo punto, si accorse che una finestra si scioglieva. I vetri erano di gelato alla fragola, e si squagliavano in rivoletti rosa. “Presto!” gridò la guardia. “Più presto ancora”. E tutti giù a leccare più presto, per non lasciare andare perduta una sola goccia di quel capolavoro. “Una poltrona!” implorava una vecchiettina che non riusciva a farsi largo fra la folla.
“Una poltrona per una povera vecchia. Chi me la porta? Coi braccioli, se é possibile”. Un generoso pompiere corse a prenderle una poltrona di gelato alla crema e pistacchio, e la povera vecchietta, tutta beata, cominciò a leccarla proprio dai braccioli.

Fu un gran giorno, quello e per ordine dei dottori nessuno ebbe il mal di pancia. Ancora adesso, quando i bambini chiedono un altro gelato, i genitori sospirano: ” Eh, già, per te ce ne vorrebbe un palazzo intero, come quello di Bologna”.


Gianni Rodari
da Favole al telefono

Gianni Rodari (Omegna, 23 ottobre 1920 – Roma, 14 aprile 1980), è stato uno scrittore e pedagogista, specializzato in scrittura per ragazzi, assai famoso, e tradotto in quasi tutte le lingue del mondo.

Udiam nella foresta

Filed under: Canzoni,Tradizione popolare — paroleingioco @ 8:27 PM

canzone per bambini della tradizione orale italiana

Canto e voce Patrizia Ercole
Chitarra e canto Angela Zecca
Registrazione del 1997

Udiam nella foresta

Udiam nella foresta il cuculo cantar,
ai piedi di una quercia lo stiamo ad ascoltar.
Cucù, cucù ……

La notte è tenebrosa non c’è chiaror lunar,
udiam nel fitto bosco il lupo ad ulular.
Aù, aù ……

Dalle profonde steppe udiamo fin quaggiù
rispondere alle renne gli allegri caribù.
Baù, baù ……
Il cucù

L’inverno è passato,
l’aprile non c’è più,
è ritornato maggio
al canto del cucù.

Cucù, cucù,
l’aprile non c’è più,
è ritornato maggio
al canto del cucù. (2 volte)

Lassù per le montagne
la neve non c’è più,
comincia a fare il nido
il povero cucù.

Cucù, cucù, ecc.

La bella alla finestra
la guarda in su e giù,
aspetta il fidanzato
al canto del cucù

Cucù, cucù, ecc.

Ve l’ho pur sempre detto
che maggio ha la virtù
di far sentir l’amore
al canto del cucù.

Cucù, cucù, ecc.

agosto 18, 2010

Pierino Porcospino

Filed under: Filastrocca — paroleingioco @ 8:42 PM

Oh, che schifo quel bambino!
È Pierino il Porcospino.
Egli ha l’unghie smisurate
Che non furon mai tagliate;
I capelli sulla testa
Gli han formata una foresta
Densa, sporca, puzzolente.
Dice a lui tutta la gente:
Oh, che schifo quel bambino!
È Pierino il Porcospino.

Heinrich Hoffmann (1809-1894)

Tratta dall’Edizione Italiana di Struwwelpeter – Traduzione di Gaetano Negri

agosto 13, 2010

Il pollaio

Filed under: Canzoni,Filastrocca,Tradizione popolare — paroleingioco @ 8:34 PM

Il gallo e la gallina
van le oche a visitar:
“Carissime vicine,
siam qui per desinar!
Al fuoco del tegame
ci dite cosa c’è?
Abbiamo tanta fame!
Co-co co-co co-dè!”.
Rispondono le occhette:
“Abbiamo un consommè
di vermi e cavallette
degnissime di un re
ed una succulenta
frittata si farà
a pezzi la polente
qua qua qua qua qua qua”.
“E dopo aver magiato”
rispose il gallo Fè:
“Andiamo in mezzo a un prato
a bere un buon caffè.
Là ci sarà offerto
dai musici di qui
un ottimo concerto
chi chi chi ri chi chi”.
E giunse un asinello
gridando: “sono qui!
Vi porto un bel cestello
di bisce già in salmì”
Gridaron tutti quanti:
“Che festa si farà!
Poichè saremo in tanti:
tara tara tata”.
Così tutti i compari,
finito il consommè
andarono al concerto,
concerto dei bebè.
E tutti allegramente
cantando se ne van
“Evviva l’amicizia
che divertir ci fa”.

Coniglio senza consiglio

Filed under: Poesia,Roberto Piumini — paroleingioco @ 8:32 PM

Quando coniglio
senza consiglio
con la coniglia
fece famiglia,
gli nacque un figlio
e poi una figlia,
poi un altro figlio
e un’ altra figlia.
Ora coniglio
senza consiglio
ha una famiglia
lunga tre miglia.

Roberto Piumini

agosto 12, 2010

I Musicanti di Brema

Filed under: Fiaba — paroleingioco @ 7:14 PM

C’era una volta un asino, che ormai era vecchio e stanco, e il suo padrone voleva disfarsene.
L’asino capì le intenzioni del padrone e parti’ per Brema: voleva entrare nella banda e vivere facendo musica.
Durante il suo cammino incontro’ un cane, anche lui avanti con gli anni, e lo invito’ ad andare con lui a Brema.
Cammina cammina, incontrarono un gatto, anche lui male in arnese, che ormai preferiva dormire vicino alla stufa anziche’ cacciare i topi.
“Vieni a Brema con noi a fare il musicante”, gli disse il cane e cosi’ i tre proseguirono insieme il viaggio, fino a che si imbatterono in un gallo che strillava a piu’ non posso, perche’ volevano tagliargli la gola.
“Non strillare e vieni con noi”, gli disse l’asino.

Arrivo’ la sera e i quattro decisero di fermarsi a dormire in un bosco.
Il gallo era salito su un albero che gli pareva sicuro e vide una casa con una tavola apparecchiata con ogni ben di dio e quattro briganti che mangiavano con appetito.
Arrivati vicino alla casa, i quattro decisero di fare un bel concertino: l’asino cominciò a ragliare, il cane ad abbaiare, il gatto a miagolare e il gallo a fare chicchirichì.
Poi spalancarono la finestra e si lanciarono nella stanza.
I briganti ebbero talmente tanta paura che fuggirono nel bosco a gambe levate.
Uno di loro decise di tornare alla casa per vedere cosa era successo, ma se ne pentì amaramente: il gatto lo graffiò tutto, il cane gli morse una gamba, l’asino gli diede un bel calcione ed il gallo cantò chicchirichi con tutto il fiato che aveva in gola.
Il brigante tornò dai suoi compari per raccontare cosa era successo ma la paura gli fece prendere lucciole per lanterne: raccontò che una strega lo aveva graffiato, un uomo col coltello lo aveva ferito alla gamba e un uomo nero lo aveva aggredito con una bastone, mentre sul tetto il giudice gridava:
“Portatemi quel birbante”.
E fu cosi’che i nostri amici musicanti poterono levarsi la fame prima di riprendere il viaggio per Brema.

Fonte: http://fiabestoriecolori.blogspot.com/

agosto 10, 2010

Il bandolo

Filed under: Canzoni,Poesia,Roberto Piumini — paroleingioco @ 7:37 PM

Non essere triste.
Alza alta la mano.
Ti vedono gli uccelli.
Sei un fiore per loro.
Ti vede il sole:
per lui sei lo stoppino
della grande candela.
Ti vedono le stelle:
per loro sei tu il bandolo
del mondo matassa.

Roberto Piumini

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